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Sanità | 18 ottobre 2023, 11:44

La scoperta della Città della Salute: il tumore alla prostata si controlla senza operazione e radioterapia

Una ricerca appena pubblicata sulla rivista scientifica Jama Network Open ha studiato la casistica dal 2015 a oggi, in Piemonte e valle d'Aosta: coinvolti 900 pazienti con una diagnosi a basso rischio

Intervento alla prostata

Il tumore a basso rischip della prostata si può trattare senza operazione o radioterapia

Il tumore a basso rischio della prostata si può contenere senza operazione e radioterapia. Lo dimostra uno studio effettuato dagli esperti di Città della Salute e che ha coinvolto, dal 2015, i territori di Piemonte e valle d'Aosta.

Si tratta di una vera e propria svolta, per questa patologia. La ricerca è stata appena pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale JAMA Network Open. Interessati oltre 900 pazienti con una nuova diagnosi di tumore della prostata a basso rischio (che rappresentano il 10-15% di tutte le diagnosi di questo tumore), che ha coinvolto tutte le principali strutture di urologia, radioterapia ed anatomia patologica del Piemonte e della Valle d’Aosta.

Coinvolti Piemonte e valle d'Aosta

Lo studio, promosso dalla Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta grazie al sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, è stato coordinato dall’Epidemiologia Clinica del CPO della Città della Salute di Torino. Si tratta di uno dei rari studi condotti su un’intera rete ospedaliera regionale per offrire ai pazienti con una nuova diagnosi di tumore della prostata a basso rischio la possibilità di scegliere fra i tradizionali trattamenti radicali (chirurgia o radioterapia) e un programma di sorveglianza attiva, basato su regolari controlli clinici, di laboratorio e, con intervalli maggiori, di tipo strumentale.

Basta la sorveglianza attiva

La sorveglianza attiva, in assenza di segnali di aggravamento, consente di evitare del tutto un trattamento radicale o, se diventasse necessario, di ritardarlo di anni, riducendo le conseguenze negative di questi interventi sulla qualità di vita dei pazienti, a causa di disturbi della sfera sessuale, urinaria ed intestinale.

Prima dello studio START la sorveglianza attiva veniva proposta raramente, da pochi Centri, e solo a pazienti molto informati e motivati. Questa difficoltà a proporre la sorveglianza attiva dipendeva da diversi fattori, tra cui: l’incertezza sui risultati di lungo periodo, il timore di incorrere in contenziosi medico-legali, l’eterogeneità di approcci tra diversi specialisti ed una comprensibile difficoltà da parte dei pazienti nel ricevere al tempo stesso una diagnosi di tumore senza l’indicazione di un trattamento attivo.

Grazie allo studio START è stato possibile concordare tra i Centri di urologia, radioterapia ed anatomia patologica delle due regioni un protocollo comune di offerta a questi pazienti della scelta tra le diverse strategie di trattamento, come raccomandato da anni da tutte le Linee guida internazionali e nazionali, inclusa una Linea guida regionale del 2009. Il protocollo START prevedeva una chiara spiegazione della diagnosi, della prognosi e delle diverse alternative di trattamento, inclusa la sorveglianza attiva. Tutte queste informazioni sono state anche spiegate in un opuscolo consegnato ai pazienti che riassumeva in termini comprensibili i vantaggi ed i rischi delle diverse alternative per consentire una decisione ponderata.

Otto su dieci fanno una scelta conservativa

Il risultato più rilevante dello studio è che, dopo essere stati correttamente informati, oltre l’80% dei pazienti ha optato per la sorveglianza attiva. I dati raccolti durante lo studio, che ha seguito negli anni tutti i pazienti, hanno confermato un’identica probabilità di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi tra le diverse scelte terapeutiche. Si stima che questi risultati, applicati nella pratica clinica, consentirebbero di evitare ogni anno almeno un centinaio di trattamenti radicali, e le loro conseguenze, tra le due regioni. Tra i fattori che hanno contribuito a rassicurare medici e pazienti nella scelta della sorveglianza attiva hanno avuto un ruolo importante la discussione multidisciplinare dei casi tra i diversi specialisti (in linea con l’approccio adottato dalla Rete Oncologica dei Gruppi Interdisciplinari di Cura, GIC) e la possibilità dei patologi di ciascun ospedale di chiedere conferma delle caratteristiche di basso rischio della biopsia ai colleghi più esperti su queste diagnosi di altri ospedali.


L’esperienza di START dimostra in modo evidente che iniziative di ricerca nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale sono in grado di raggiungere risultati di interesse scientifico internazionale ed al tempo stesso di contribuire al miglioramento della qualità e dell’equità dell’assistenza e la positiva collaborazione tra professionisti di diverse discipline. 

Massimiliano Sciullo

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